Ci sono voci che restano impresse per la loro forza. Quella di Cinzia Mascoli è una di queste. Attrice e presidente della collecting indipendente Artisti 7607, Mascoli porta con sé un’urgenza che va oltre la narrazione personale: quella di chi ha deciso di fare qualcosa, non solo di raccontarlo.
Nell’episodio 29 del podcast Bravi Tutti, non si parla solo di cinema. Si parla di diritti. Di responsabilità collettiva. Di soldi che non arrivano, leggi ignorate, e di una realtà di cui si parla poco: quella dei diritti connessi.
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Il lavoro continua anche dopo il set
Il punto, come lo spiega Cinzia Mascoli, è semplice e potente: un attore lavora anche quando non è davanti alla macchina da presa. Ogni volta che un film viene proiettato, su un treno, in aereo, in una sala d’attesa, qualcuno trae profitto. E se c’è profitto, ci deve essere anche riconoscimento per chi quel contenuto lo ha interpretato.
“La maggior parte degli artisti non ce la fanno. Eppure, abbiamo bisogno degli artisti perché un’opera è fatta da tante figure, anche più piccole, che determinano il suo successo.”
Dietro queste parole c’è l’essenza del lavoro portato avanti da Artisti 7607: rendere visibile ciò che spesso è ignorato. Difendere il diritto degli interpreti a ricevere un compenso giusto anche per l’utilizzo successivo delle opere a cui hanno contribuito.
Artisti 7607: una risposta nata dal basso
La nascita di Artisti 7607 non è stata un progetto studiato a tavolino, ma il frutto di domande sincere fatte nei camerini, tra colleghi. Un’intuizione diventata movimento, portata avanti da figure come Cinzia Mascoli ed Elio Germano, che hanno voluto rompere l’omertà di un sistema opaco.
“Alcuni di noi – io ed Elio Germano siamo stati tra i primi – hanno cominciato a farsi delle domande: ‘quali sono le difficoltà del sistema?’ […] Abbiamo creato un’associazione, iniziando a organizzare aperitivi informativi.”
Cambiare le regole del gioco
Il cuore della battaglia di Cinzia e degli altri membri di Artisti 7607 è una vera e propria riforma del sistema di gestione dei diritti connessi. Una battaglia che ha avuto anche il coraggio di usare la satira come strumento di denuncia. È il caso del corto Una commedia italiana che non fa ridere, firmato da Luca D’Ascanio, dove diversi attori mettono in luce le incongruenze dell’attuale sistema rappresentato dall’IMAIE.
Ma la posta in gioco non è solo tecnica o amministrativa. È una battaglia culturale: quella per la rappresentanza, per la possibilità di scegliere chi tutela davvero gli artisti, senza intermediazioni imposte o gestioni opache.
“Se l’intento è quello di superare i problemi per capire come si può fare meglio, non è mai un problema […] Siamo la prova vivente che se le domande sono giuste e l’obiettivo è quello di far funzionare qualcosa, le cose si possono cambiare.”
Il diritto (e il dovere) di farsi sentire
La lotta per i diritti, spiega Mascoli, passa anche dalla visibilità pubblica. È ciò che è successo durante l’incontro del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella con i candidati ai David di Donatello, quando Elio Germano ha scelto di alzare la voce:
“Il cinema è davvero in crisi […] e riteniamo che il Ministero della Cultura abbia una grossa responsabilità in questo. Sentirci dire che tutto va bene, e per di più in un modo così bizzarro, è stato per me molto fastidioso”.
Mascoli difende quella scelta come un atto necessario, consapevole, strategico:
“Gli artisti usano gli spazi di visibilità […] perché sanno che quel riflettore può accendere le coscienze su una situazione a cui non si sta prestando la dovuta attenzione.”
Recitare fuori scena: “Sto lavorando sul contesto”
Cinzia Mascoli, che negli anni ’90 è stata protagonista di film molto popolari, Viaggi di nozze con Carlo Verdone, per citarne uno, oggi sembra abitare un’altra scena, scegliendo di mettere da parte la ribalta per dedicarsi alla costruzione di un ecosistema creativo più sano.
“Sento che sto facendo quello che ho sempre pensato vada fatto: creare un contesto nel quale la creatività sia più libera di esprimere i propri talenti […] Sto lavorando sul contesto […] mettendo in secondo piano la mia personale riconoscibilità.”
Un invito a chi vuole fare questo mestiere
Cinzia lascia un messaggio che è più di un consiglio: è una filosofia del lavoro e della vita. Uno sguardo profondo, sensibile, che ricorda quanto il mestiere dell’attore sia prima di tutto una forma di ascolto e di empatia.
“È un mistero la vita, ma lo è anche questo mestiere […]. L’unica cosa che puoi fare è avere un’apertura enorme, le antenne dritte, captare tutto quello che ti circonda e studiare, studiare la vita, le persone, non giudicarle, ma tenere viva quella empatia che ti fa continuare a voler bene il mondo.”
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