Se siete su questo sito, c’è una buona probabilità che il vostro desiderio sia quello di diventare attori e di lavorare nel mondo dello spettacolo.
Vi ho già parlato in un altro post dei passi da fare per intraprendere questa carriera. Il primo che serve per cominciare? Studiare, perché non basta mettersi su un palcoscenico o davanti ad una telecamera per diventare attori: bisogna anche imparare la tecnica.
Esistono molti metodi di recitazione, elaborati da altrettanti attori e registi, ma il primo che spontaneamente viene in mente è di sicuro quello di Stanislavskij. Tutti lo conoscono, almeno di nome, ma pochi hanno veramente idea di che cosa dicessero davvero le sue teorie.
In questo articolo cercherò di spiegarvelo in modo sintetico, anche se è impossibile dire tutto in poche parole, quindi mi concentrerò solo sugli aspetti più importanti.
Prima di tutto, perché il metodo di Stanislavskij è così famoso e importante?
Perché è stato lui il primo ad analizzare nel dettaglio il lavoro dell’attore e a descrivere il processo creativo che porta all’interpretazione di un personaggio. Prima di allora, i giovani imparavano a recitare semplicemente osservando i professionisti al lavoro e cercando di imitarli.
Stanislavskij, invece, per la prima volta teorizzò i processi mentali che bisogna compiere per arrivare a ricreare lo stato d’animo di un personaggio. In questo modo, la recitazione poteva anche essere spiegata teoricamente ed insegnata.
L’esigenza di un metodo nasce perché la performance dell’attore possa essere riproducibile ad ogni replica dello spettacolo.
Stanislavskij, infatti, era scettico verso quegli attori che dichiaravano di affidarsi completamente all’istinto, perché riteneva che potessero a volte raggiungere uno “stato di grazia” in cui risultavano credibili e convincenti, ma che non fossero in grado di riprodurlo ogni volta che entravano in scena. Si trattava, insomma, di un evento raro e non controllabile. Un bravo attore, invece, dovrebbe essere in grado di risultare credibile ogni volta che recita.
Il punto fondamentale attorno a cui ruotano le teorie di Stanislavskij è che l’attore in scena non deve fingere, ma vivere realmente quello che vive il personaggio. Solo in questo modo anche gli spettatori potranno credere a ciò che stanno vedendo.
Ma come si fa a “vivere realmente” una situazione che gli attori sanno non essere reale? Attraverso quello che Stanislavskij chiama il “magico se”, cioè chiedendosi come si comporterebbero se si trovassero in quella situazione. Così facendo, l’azione scenica assume una concretezza nella mente dell’attore.
Ad esempio, c’è una grande differenza tra pensare “devo assumere un atteggiamento preoccupato” e chiedersi “che cosa farei se stesse per arrivare una persona importante in casa mia e non sapessi come accoglierla?”. Nel secondo caso, la preoccupazione non è più fine a se stessa, ma ha una causa ben definita e porta l’attore a fare una serie di azioni che hanno uno scopo preciso.
Quando un attore lavora su un certo personaggio, il processo di immedesimazione è più complesso e si articola in quattro fasi fondamentali. Ognuna dovrebbe essere trattata in modo approfondito, per spiegarla adeguatamente, ma in questo articolo non ho lo spazio necessario, quindi vi propongo solo un’estrema sintesi:
- Conoscenza, che parte dalla lettura del copione e dall’analisi del contesto in cui si trova il personaggio;
- Reviviscenza, che consiste nell’attingere dal proprio bagaglio emotivo le emozioni che il personaggio prova;
- Personificazione, che permette di trasporre le emozioni richiamate nella fase della reviviscenza sulle azioni del personaggio;
- Comunicazione, che riguarda la creazione di un rapporto con gli altri attori sulla scena.
Stanislavskij voleva mettere per iscritto tutto il proprio lavoro teorico in otto libri, ma ebbe il tempo di organizzare e pubblicare solo una parte del materiale raccolto, prima di morire di malattia.
Due libri dell’autore che sono stati pubblicati (e che potete leggere se volete approfondire queste teorie attraverso le parole di chi le ha ideate) sono “Il lavoro dell’attore su se stesso“ e “Il lavoro dell’attore sul personaggio“.
La fama di Stanislavskij e delle sue teorie si diffuse al di fuori della Russia soprattutto grazie ad una tournée negli Stati Uniti d’America. Alcuni allievi del grande regista russo decisero di rimanere e di insegnare le tecniche che avevano appreso agli attori americani.
Da questi insegnamenti nasceranno poi il metodo di recitazione di Lee Strasberg e quello di Stella Adler, che riprendono i concetti fondamentali teorizzati da Stanislavskij e li sviluppano ulteriormente. Ma di questo abbiamo già parlato in un altro post…
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